Tante volte mi è stato chiesto se credo in Dio, e la mia prima risposta è stata subito di chiedere: Quale Dio? Alla mia richiesta di specificare di quale Dio voglia parlarmi l'interlocutore, generalmente segue un silenzio imbarazzato e il dialogo muore lì.
Adesso voglio riprenderlo e svilupparlo qui. Per farlo devo prima porre delle premesse.
La prima: la realtà, di qualunque tipo essa sia, è già in sé molto complessa e le parole umane sono molto inadeguate per descriverla esaurientemente. Se non si accetta la complessità della realtà, da una parte, e l'inadeguatezza del linguaggio, dall'altra, è inutile affrontare questo discorso e coloro che l'hanno fatto, senza tenerne conto, hanno evitato raramente di peccare di presunzione. Poiché io non voglio commettere questo errore, affermo che quanto dirò su questo argomento è valido certamente per me, forse è valido anche per altri. Ognuno decida per sé.
La seconda: esistono solo parole umane, frutto, cioè, del pensiero e dell'agire dell'uomo; non esistono parole divine.
Quando perciò qualcuno, e ce ne sono molti nella storia, alcuni santificati e altri bruciati al rogo, afferma di aver avuto una rivelazione da parte di Dio, poiché questa rivelazione è esclusivamente fatta di parole umane, io ho tutto il diritto di dubitare che si tratti di una rivelazione da parte di Dio e ho il dovere di chiedermi se non si tratta di qualche altra cosa. Io non ritengo possibile che Dio possa rivelare qualcosa di sé utilizzando parole umane e rivolgendosi a un intelletto umano se, per definizione , Dio è un essere totalmente Altro dall'uomo, totalmente superiore all'uomo e di una natura completamente diversa dalla natura dell'uomo. Tutte le parole umane che sono state classificate come parole divine, hanno assunto questa nuova valenza solo per decisione degli uomini e mai per decisione di Dio. Sfido chiunque a smentire questa mia affermazione.
La terza: ogni parola ha un significato determinato dalla storia umana. La storia umana cambia in continuità e così anche il significato delle parole.
Non si può, dunque, parlare di Dio, senza prima determinare quali significati questa parola ha assunto nel corso della storia umana e nel momento attuale. Per esempio, la parola Dio, usata dai Greci, non ha nulla a che vedere con la stessa parola, usata dai contemporanei.
In Occidente, la parola Dio e il suo concetto sono stati elaborati in due ambiti diversi, l'uno quello della religione e l'altro quello della filosofia.
Ad eccezione di Platone e di Aristotele, tutti gli altri filosofi occidentali che si sono occupati del concetto di Dio, sono tutti figli della cultura ebraica e di quella cristiana. A mio modesto parere, nessuno di loro è mai riuscito a rendersi totalmente indipendente dalla loro tradizione, quando si sono messi a filosofare su Dio. Per cui ne deduco che il loro pensiero non è mai esclusivamente filosofico ma sempre inquinato da derivazioni teologiche.
Ugualmente non conosco nessun teologo che sia mai riuscito a rendersi totalmente indipendente dal pensiero di Platone e da quello di Aristotele.
C'è una terza categoria di persone, che si sono occupate di comunicarci qualcosa intorno alla realtà di Dio, e sono i mistici.
Generalmente i mistici non sono mai stati presi in gran considerazione né dai teologi né dai filosofi. I teologi non prendono in considerazione i mistici perché questi non si sono mai preoccupati di attenersi alle scuole teologiche. I filosofi non l'hanno fatto e non lo fanno, perché nel filosofare essi devono attenersi solo alla facoltà della ragione e i mistici sono quelli che non si accontentano mai della ragione e sanno usare altre facoltà che vanno al di là della ragione. Come fidarsi di loro? Parlano una lingua sconosciuta e usano mezzi sconosciuti.
Anch'io voglio parlare di Dio usando solo la ragione, ma nel decidere dove la mia ragione debba soffermarsi per trattare di Dio intendo usare anche le conoscenze mistiche che sono a mia disposizione. Non vedo per quale stupido motivo debba mutilare le fonti della mia conoscenza, per ridurle solo a quelle che provengono dall'intelletto, quando so che l'uomo ha altre facoltà diverse da quelle dell'intelletto e che tutte possono essere interrogate dalla ragione.
La quarta. Non scrivo per coloro che hanno la fede ma per coloro che dubitano e per coloro che cercano sinceramente una risposta, perché quella che hanno già non li soddisfa più.
A costoro, però, chiederò di rileggere attentamente quanto ho già scritto a riguardo della formulazione del principio cosmoantropico, da me descritto al capitolo sesto.
Lì si stabilisce un rapporto di analogia tra il microcosmo che è l'uomo e il macrocosmo che è l'universo, e si afferma che dalla conoscenza dell'uno si può dedurre la conoscenza dell'altro e viceversa, sempre integrando le scoperte scientifiche che si vanno facendo a ogni passo.
Lì si tocca il problema di Dio e si mette in crisi l'affermazione di Aristotele su Dio come causa prima e unica dell'universo, dimostrando che ci può essere solo una molteplicità e circolarità di cause e non una sola, per ogni atto creativo, e così si elimina il fondamento di tutte le successive affermazioni filosofiche su Dio che dipendono, in parte o in tutto, da Aristotele.
Se non c'è una causa unica, ma almeno due, non c'è posto per un Dio unico creatore di tutte le cose e, secondo punto, non c'è alcun bisogno di divinizzare le cause che hanno prodotto questo universo, così come un Io adulto non ha bisogno di divinizzare suo padre e sua madre che sono quelli che l'hanno generato biologicamente.
Pur nascendo da due genitori diversi, ogni essere umano si costituisce come un soggetto unico e irripetibile. Pur essendo composto di materia e di pensiero, di corpo e di spirito, l'essere umano è uno e non due, nel senso della soggettività, come individuo e come persona. Questo unico soggetto siamo abituati a chiamarlo Io. Questo Io non può esistere senza il corpo. Il corpo è fatto di cellule e le cellule sono fatte di atomi. Ma non solo di atomi.
Poichè ogni cellula è un piccolo organismo vivente, pure ogni cellula, necessariamente, ha un soggetto, un io che pensa, che ama e che crea. Costantemente, infatti, ogni cellula decide se continuare a collaborare con tutto l'organismo umano o se mettersi in proprio e mandare in malora l'organismo a cui appartiene.
Dunque, ogni cellula pensa; decide se amare o odiare, se creare o distruggere.
E chi decide è l'io della cellula. Non sappiamo ancora di che cosa è fatto l'io della cellula ma sappiamo che esiste e agisce. Non siamo uno, nessuno e centomila, come dice Pirandello, ma uno, più miliardi di miliardi, in cerca di un autore che sappia unificarci tutti.
Immaginiamo ora che una mia cellula, rispetto al tutto che Io sono, come soggetto unico e centrale, possa interrogarsi e chiedersi: Esiste questo Io? E chi è questo Io? Questo Io, che decide se portarmi al mare o in montagna e se darmi carne o pesce come nutrimento. Questo Io che decide di me e per me, anche se certe cose le posso decidere solo io e non lui.
Solo perché sono soggetta per alcune cose all'Io, per questo l'Io è l'Onnipotente e l'Essere supremo? Certo, lui ha un potere che io non ho. Il mio è piccolo e il suo è sconfinato. Ma per questo dirò che lui è l'Onnipotente? Non mi pare che corrisponda a verità. A volte io mi ammalo e lui può curarmi, ma a volte non ha più alcuna possibilità di farlo; dov'è che lui è Onnipotente?
Se penso alla mia piccolezza e alla sua grandezza, mi viene lo sgomento, tanta è la differenza. Perciò sarei tentata di dire che lui è l'Essere supremo, ma poi mi fermo, perché so che c'è lui ma ci sono anche papà e mamma e questi due sono più grandi e più potenti di lui, quando lui è in fasce.
E' vero che il mio Io mi trascende col suo pensiero e con la sua creatività ma perché dovrei definire divina questa trascendenza? Non credo che la natura di questo Io sia di una natura differente dalla mia. Ha solo una complessità maggiore della mia.
Dicono che Dio è immanente e trascendente e anche il mio Io è immanente e trascendente; ma per questo dirò che l'Io è Dio? L'Io è immanente perché inerisce a ogni sua cellula ed è trascendente perché è tutta altra cosa che la somma delle sue parti. Se l'Io del mio corpo, pur essendo immanente e trascendente, non è Dio, perché dovrebbe essere Dio l'Io dell'universo intero?
Dicono i teologi che Dio è amore e perfezione assoluta. Dirò che l'Io è amore, è perfezione assoluta, solo perché è il soggetto che mi dà l'identità e l'appartenenza e la continuità tra me e tutte le altre cellule dello stesso organismo? Se lui sa essere amore sa anche essere odio e se ha tante qualità e perfezioni ha anche tanti difetti e imperfezioni. Come faccio a divinizzarlo e a guardare una faccia e negare l'altra?
Dicono che Dio ha creato tutte le cose. Dirò che è l'Io che mi ha creato, quando so che senza il DNA io non potrei esistere nè funzionare? Il mio Io mi mantiene in vita nutrendomi, questo è vero. E se non ci fosse lui non ci sarei neanche io. Ma è vero anche il contrario. Se non ci fossi io lui non ci sarebbe e se lui esiste è anche perché io lo mantengo in vita.
Questo Io può regalarmi il paradiso, quando mi fa gioire con l'orgasmo, e può mandarmi all'inferno, quando mi avvelena con il fumo o con cibi inquinati. Per questo dirò che l'Io è colui che decide dall'eternità se sarò tra i beati o tra i dannati? Anche io posso decidere se dargli il paradiso o dargli l'inferno; basta secernere qualche ormone in più o qualche enzima in meno.
Ovvero dirò che l'Io ha tutto in sé e non ha alcun bisogno di me, quando so che senza di me, senza la mia costante attività, l'Io non può continuare ad esistere, né godere di un ottimo stato di salute?
Dicono che Dio è l'essere necessario e la creatura è l'essere contingente. Dirò che l'Io è l'essere necessario e io l'essere contingente, perché so che io continuamente muoio e mi rinnovo, producendo cellule nuove al posto di quelle vecchie, e lui invece rimane sempre lo stesso finchè non muore? In quanto transeunte io sono necessaria solo relativamente, lo so, ma anche l'Io è transeunte, anche se è più necessario di me. E poi s'è visto mai un Io capace di esistere senza una cellula iniziale capace di moltiplicarsi e differenziarsi? Chi è più necessaria di me al momento del concepimento?
Certo io, senza l'Io, non avrei nessun signore da servire e non avrei nessun posto nella storia; ma per questo il mio signore è Dio e io sono una spregevole nullità?
Questo discorso non si regge in piedi e non dà ragione della verità complessa che lega me e miliardi di altre mie compagne allo stesso e unico soggetto che è l'Io.
La Bibbia e il Corano dicono che Dio è misericordioso e vendicativo. Nel rapporto tra me e il mio Io, sia io che lui siamo entrambi misericordiosi e vendicativi. Posso sopportare l'aria e i cibi inquinati e lo stress quotidiano a cui lui mi sottopone e a volte mi adatto, con comprensione, ma a volte mi ribello e gliela faccio pagare. Se l'Io si prende una sbronza, io lo stendo a terra e gli regalo un mal di testa. In altri casi gli regalo un tumore o l'AIDS e non lo perdono in eterno. L'Io non mi può calpestare impunemente, nonostante la sua signoria e la sua sovranità su di me.
Dio crea per la sua gloria, dice il catechismo della dottrina cristiana.
Io non ho mai visto nessuno così tenacemente attaccato alla sua fama e alla sua gloria, come il mio Io. I sacrifici che impone a me e alle cellule mie compagne, per ottenere riconoscimenti e onori, sono infiniti. Soldi, potere e successo sono in testa a tutti i suoi pensieri e noi ci dobbiamo piegare alla sua volontà senza poterci ribellare. Quanto dolore e quanta sofferenza costa a noi la ricerca della sua gloria! Noi ne faremmo a meno molto volentieri, in cambio di una vita più sana e più serena. Dio è un narcisista come l'Io? Dio è prigioniero della sua gloria così come noi cellule siamo prigioniere della gloria dell'Io? Noi non amiamo un tale Io e ci sorprende che gli uomini possano amare un simile Dio.
Passo a un altro argomento. Ci sono cellule di superficie e cellule di profondità. Alle prime accade che si possano pigmentare di bianco oppure di nero o di altri colori. E qui sì che bisogna parlare di dannati e eletti. La storia dice che l'Io dei bianchi ha deciso che quelli di pelle nera sono i dannati e quelli di pelle bianca sono gli eletti. E il guaio è che anche l'Io di chi ha una pelle nera può decidere di odiarsi per tutta la vita perché è nero. Può decidere di segregarsi in un ghetto perché è nero e può decidere di odiare un bianco perché è bianco.
Qui io, come cellula, sono proprio impotente ; non posso cambiare le cose e guardo al mio Io non come al Giudice Onnipotente ma come a un essere prepotente che ha perduto il senno e che, in nome della sua follia, sparge infelicità su tutta la terra. Dovrei divinizzare quest'Io? Mi sentirei folle pure io. Questo Io è un tiranno, non è un Dio, e, devo ammetterlo, mi sono spesso piegata ai tiranni. Di tiranni l'umanità ne produce gran quantità e io non so se la colpa è anche mia. Forse dovrei specializzarmi di più e non oppormi solo al deterioramento della qualità della vita in senso corporeo ma anche in senso esistenziale, più di quanto già mi riesca di fare.
Come non permetto al mio Io di considerarsi il mio Dio, così non dovrei permettergli di comportarsi come il mio tiranno. Ma forse sto commettendo un errore; forse mi sto dando troppa importanza. Io che sono una piccola parte del tutto come posso attribuirmi la responsabilità del tutto? Se penso alla vastità della mente del mio Io, come pretendo io di capire e giudicare le cose che sono più grandi di me?
Posso io pretendere di capire i pensieri che passano nella testa del mio Io? Posso Io, che sono infinitamente piccola, capire il mio Io che è infinitamente grande? No, non posso pretenderlo. Ma, ancora una volta, da questo non segue che io debba divinizzare il mio Io e dire che lui ha una natura divina superiore alla mia e io una natura umana inferiore alla sua.
Piccola quanto volete, io sono sempre una parte di lui e, come lui mi contiene e mi dà la vita, io pure, a modo mio, lo contengo e gli do la vita. Io non sono lui e lui non è me. Ma lui non può essere quello che è senza di me e io non posso essere me senza di lui.
Non ci sono abissi di separazione tra lui e me. Abbiamo un'unica vita in comune. Forgiamo insieme il nostro destino. Realizziamo insieme i nostri progetti e i nostri sogni.
Egli mette dei limiti a me e io metto dei limiti a lui. Egli mette la sua energia e io metto la mia. Se la mia si esaurisce, egli non può andare avanti da solo. Senza di lui io non saprei dove andare.
A volte io sono un peso per lui. Con la forza dei miei bisogni io posso piegarlo alla mia volontà. Sto parlando di quando ho fame di cibo; di quando ho bisogno di aria e di quando ho voglia di sesso.
Ma è pure vero che il mio Io ha una forza terribile, una forza di trascendimento immensa, e con essa può fare miracoli che piegano la mia volontà. Accade con la sua capacità di digiunare, con la sua capacità di mantenersi casto, con la sua capacità di lievitare e tante altre ancora.
Qui io rimango sbalordita, perché non avrei mai pensato che certe cose fossero possibili. Veramente ho una grande ammirazione per il mio Io. Egli segue spesso la legge dell'impossibile e con essa rende possibile ciò che, per legge naturale, sino a un momento prima era ritenuto impossibile.
Questi miracoli, però, non hanno niente di divino e ancora una volta me ne guardo bene dal commettere l'errore di divinizzare il mio Io.
Ci sono altre cose straordinarie che sa fare il mio Io: le opere d'arte. E lì viene voglia di gridare al miracolo e di esclamare: il divino Platone, il divino Michelangelo!
Nelle mani di Michelangelo c'ero presente anch'io, piccola cellula insieme ad altre cellule. La sua mente guidava le sue mani ma anche le mani guidavano a volte la sua mente.
C'è un pensiero che appartiene solo alla mente, ma c'è un pensiero che appartiene a tutte le cellule del corpo a cui appartiene quella mente. Certe idee geniali che sorgono all'improvviso, non vengono solo dalla mente ma da tutto il corpo e la mente è lì per captarle e farle sue. Ma se non ci fosse il corpo, che è un agglomerato di cellule, non ci sarebbero neanche le idee e certi corpi generano certe idee che la mente da sola non sarebbe capace di generare.
Per un attimo non ho parlato più come singola cellula ma come una cellula che insieme ad altre cellule forma un corpo. Vorrei parlare di un'altra verità e non è cosa facile a farsi.
Esiste il mio Io che è il soggetto centrale dell'organismo umano ed esisto anche io, la cellula, che sono l'organismo più piccolo all'interno del grande organismo umano. Poi esistono cose ancora più piccole come gli ormoni, gli enzimi, i geni, ecc. ecc.
E poi esiste qualcosa o qualcuno che non saprei come chiamare. Siccome tutte le parole sono convenzioni umane, conveniamo di chiamare questo qualcuno : il SE'.
Non potevo tralasciare di parlare del SE'. Come in ogni singola cellula abita il mio grande Io, oltre il mio piccolo io, così in ogni singola cellula abita anche il mio SE'. Gli Orientali ne sono convintissimi. E come in Occidente hanno divinizzato l'Io ed è diventato D-io, così in Oriente hanno divinizzato il SE' e ne hanno fatto l'unica realtà suprema, di fronte alla quale l'Io deve annullarsi se vuole raggiungere la suprema beatitudine.
A me sembra una follia l'una e l'altra cosa. Sono due malattie pericolose. Con l'una si crea la teomania che è l'imperialismo dell'Occidente, e con l'altra si crea la miseria dei senza casta e il rifiuto totale del mondo che è il male inestirpabile dell'Oriente.
Del SE', io piccola cellula che capisco solo le piccole cose, dirò che è il ponte che collega l'Io Cosmico con l'Io umano, passando attraverso il mio piccolo io.
Io la penso così. Io, cellula, sono una piccolissima parte dell'organismo umano. L'organismo umano, a sua volta, è una piccolissima parte dell'organismo vivente che è il cosmo. Un organismo umano cessa di essere vivente, quando le cellule non comunicano più tra di loro e non comunicano più con l'Io. Se non c'è comunicazione non c'è unità e se non c'è unità, non c'è vita.
Ora gli scienziati non sanno ancora dirci cos'è la vita, ma sanno che è fatta di informazioni e di comunicazione di informazioni. Ma questo non basta. Un computer è pieno di informazioni ed è capace di comunicarle a molti altri computer, ma non per questo diciamo che i computer sono vivi. Manca qualche altra cosa di essenziale, la cui essenza però ci sfugge.
Per quel poco che io ne so, e ne so molto poco, ciò che tiene unito l'Io umano in tutte le sue parti è il SE' Personale (altri dicono l'anima) e ciò che tiene unito l'Io umano all'Io cosmico è il SE' Cosmico.
Il SE' e l'Io sono due realtà diverse, ambedue indispensabili, l'una all'altra. Senza l'Io il SE' non può agire. Le comunicazioni devono essere trasformate in azione e questa operazione sa compierla solo l'Io e non il SE'. Pensa tu che sarebbe stata l'India, che è la patria del SE', se non fosse esistito Gandhi. Tutti volevano che l'India fosse libera dall'oppressione degli Inglesi, ma nessuno si decideva ad agire in modo da unificare tutte le forze necessarie per riconquistare la libertà dagli Inglesi.
Da secoli l'India era piena di guru, di santi e di asceti che cercavano l'illuminazione e, a furia di cancellare l'Io, la raggiungevano pure. Intanto, però, gli Inglesi dominavano l'India e nessuno di tutti questi illuminati aveva mai mosso un dito per cacciare gli Inglesi. Che vita e che saggezza! Ma si può essere così ciechi e ritenersi illuminati?
Adesso stiamo pure imbalsamando Gandhi. Di lui ci ricordiamo solo che ha creato il metodo della non violenza, ma nessuno più parla della sua capacità di agire per unificare un popolo intero attorno a un progetto che migliori la vita.
Orientali e occidentali sono tutti presi dalla ricerca del loro benessere; che sia materiale o spirituale, non cambia molto le cose: sempre di benessere egoistico si tratta.
Gandhi non era un egoista. Egli cercava il bene di un popolo intero e non solo quello suo.
Io, piccola cellula, se cercassi solo il mio benessere e non quello di tutto l'organismo a cui appartengo, non sarei qui sotto un signore che mi comanda a bacchetta. Me ne tornerei nell'oceano immenso da dove sono venuta o continuerei a volteggiare libera per gli spazi infiniti, dove molecola ero e molecola sarei rimasta.
Se mi sono trasformata è perché me l'ha chiesto il mio SE' ed io ho risposto di sì. Me l'ha chiesto in nome di un progetto: il progetto di creare insieme sempre nuove forme di vita e nuove forme di bellezza.
Mi fanno ridere quelli che mettono la bellezza solo nel SE' e quelli che la mettono solo nell'Io e poi ne fanno delle divinità da adorare mentre essi se ne stanno nella merda. Gli uni in quella spirituale e gli altri in quella materiale.
Sono folli che precipitano il mondo nella follia, mentre tutti potrebbero darsi da fare per diventare artisti della loro vita e della vita dell'universo.
Come artisti diventerebbero tutti creatori. Creatori di nuovi destini e creatori di nuova bellezza. E, invece, no; preferiscono essere vittime del destino.
***
Fin qui è come se avesse parlato una mia cellula, adesso tocca parlare a me che scrivo.
In quale Dio credo?
Non credo nel Dio dei filosofi, perché è un Dio pieno di insanabili contraddizioni, la più grave delle quali è la presenza della bontà di Dio, da una parte, e la presenza del male nella sua creazione, dall'altra; e, poi, perché nessun filosofo è mai riuscito a produrre delle prove certe dell'esistenza di questo Dio, in più di duemila anni di storia della filosofia.
Non credo nel Dio dei teologi, per tutta una serie di motivi.
Nessuno di loro ha mai saputo spiegare perché questo Dio, oltre ad aver creato gli angeli, abbia anche creato gli esseri umani. Non poteva creare solo angeli? A che gli serve la razza umana? Che hanno gli uomini di più degli angeli, che sia così interessante per Dio?
Secondo i teologi, sia gli angeli che gli uomini sono dotati di libertà di scelta tra il bene e il male, e in questo sia gli uni che gli altri sono uguali di fronte a Dio. Che bisogno, dunque, aveva Dio di creare anche gli uomini, se il problema della libertà è presente, allo stesso modo, sia negli uni che negli altri?
Se Dio, sempre come dicono i teologi, voleva manifestare la sua gloria agli uomini, perché non li ha posti direttamente nel paradiso celeste invece che in quello terrestre, sin dal momento della creazione?
Nei vangeli si parla della necessità della presenza del dolore nella vita ma non si dà alcuna spiegazione valida del perché di questa necessità. E' volontà di Dio che Cristo muoia sulla croce. Ma perché? Un Dio che è Onnipotente e che è Amore, non ha altre strade all'infuori di questa per salvare gli uomini? E perché deve salvarli, mediante tanto dolore, se gli uomini non possono aggiungere nulla alla felicità di Dio, essendo egli perfezione assoluta?
Non posso accettare un Dio che mette al centro della sua vita il peccato dell'uomo o, per dirla con altre parole, che ha come scopo principale della sua vita la redenzione dell'uomo. Un simile Dio è il frutto di un pensiero umano che mette l'uomo al centro della vita di Dio; non può essere il frutto di una mente divina.
Non posso accettare il Dio di San Paolo, perché non posso accettare che per salvare un numero limitato di uomini (solo quelli predestinati ad essere eletti sin dall'eternità) Dio faccia morire sulla croce il suo figlio prediletto. Questo non è amore ma è sadismo ed è razzismo. Non si può concepire un piano di salvezza e di redenzione per l'uomo dal peccato di Adamo, facendo commettere agli uomini un peccato ancora più grave, il peccato di deicidio , e attribuirne la colpa, per duemila anni, al popolo ebreo. Come si può pensare di cancellare un peccato meno grave, quello di Adamo, con un peccato più grave, l'uccisione del Figlio di Dio, da parte degli uomini?
Tanto meno posso accettare che l'uomo, da una parte, abbia il potere immenso di poter colpire e offendere Dio, il che mi sembra attribuire all'uomo un potere onnipotente e a Dio una vulnerabilità che non si vede come possa coesistere con la sua divinità, e, dall'altra, affermare che l'uomo sia totalmente impotente, quando si tratta di agire per riparare la colpa commessa.
Vorrei che qualcuno mi spiegasse com'è possibile che l'uomo sia così onnipotente prima e così impotente dopo. Onnipotente nel male e impotente nel bene. Nel primo caso, l'agire dell'uomo può varcare i confini inaccessibili della natura divina e colpire Dio; nel secondo caso, l'agire dell'uomo non può avere nessuna efficacia riparativa nei confronti della divinità offesa. Dov'è la coerenza logica di questo pensiero?
Capisco che, per poter enucleare il suo pensiero teologico, è necessario, per San Paolo, attribuire all'uomo un potere infinito nel momento della colpa e, poi, nel momento della riparazione, togliere all'uomo qualsiasi potere riparativo per giustificare la necessità dell'incarnazione e della redenzione ad opera di Cristo che è insieme vero uomo e vero Dio. Un pensiero geniale, se si pensa che esso è capace di alimentare la fede cristiana da duemila anni ma, al tempo stesso, un pensiero che non ha nessuna coerenza interna come non ne ha quell'altro che rende Dio vulnerabile all'offesa dell'uomo.
Non credo che le mie cellule abbiano interesse a vedere il mio Io “faccia a faccia” per essere nella gioia. Hanno, invece, tutto l'interesse di creare insieme al mio Io una lunghezza d'onda costante con la quale vibrare tutte insieme, all'unisono. Questa vibrazione è quella che produce la gioia e la bellezza. Così pure, dopo la morte delle mie cellule, Io non ho nessun interesse di andare a vedere Dio “faccia a faccia” per ottenere la beatitudine eterna. Io entro nella gioia eterna se trasformo la mia vita che è mortale, poiché mortali sono le mie cellule e mortale è il mio Io sin dalla nascita, in una vita immortale che può navigare all'infinito da un universo all'altro.
In che cosa credo, dunque?
Credo nell'energia quantica e nell'energia vitale che non hanno mai avuto inizio e non avranno mai fine. Credo che l'una e l'altra abbiano necessariamente bisogno di un iperspazio e di un ipertempo per poter esistere. Iperspazio e ipertempo, a volte, sono concentrati e condensati alla maniera di una stella di neutroni o alla maniera di un buco nero. A volte, invece, sono espansi in miliardi di miliardi di anni luce. Credo che nell'iperspazio siano contenuti infiniti universi a bolla; universi paralleli e universi concentrici. Il nostro universo è solo uno di questi infiniti universi. Credo che, come nel nostro universo nascono in continuità nuove stelle e nuove galassie, così nell'iperspazio nascono e muoiono in continuità nuovi universi.
Credo che il nostro universo sia organizzato alla maniera di come è organizzato un organismo vivente. E come un organismo vivente umano ha un Io Personale e un SE' Personale, che non sono affatto un Dio, così credo che il nostro universo abbia un Io Cosmico e un SE' Cosmico, che non sono neppure un Dio né mai lo saranno in senso filosofico o teologico.
Come in un sistema solare sole e pianeti si influenzano a vicenda, coi loro campi magnetici e coi loro campi gravitazionali, così si influenzano a vicenda organismi umani e organismi cosmici. Più andremo avanti nel tempo e più la scienza sarà in grado di rilevare questa influenza reciproca.
Credo che nel SE', che sta dentro di me e che non ho bisogno di chiamare Dio, ci sia tutto il potere artistico, creativo, che mi è necessario per autocrearmi e per autotrascendermi, utilizzando tutte le circostanze in cui mi pone la vita e tutti i materiali che mi offre la vita. Il SE' mi chiede di trasformare continuamente il mio Io in modo da creare sempre nuova vita e nuova bellezza, seguendo le leggi della vita.
Non mi chiede di annullare il mio Io o di cancellarlo; mi chiede di farlo passare per il dolore e per la morte, tutte le volte che è necessario, perché ne esca fuori sempre rinnovato, sempre trasformato, sempre più unificato e sempre più capace di unificare e trasformare l'Io e il Tu, l'Io e gli altri, l'Io e il cosmo.
Perché è così che si crea la bellezza: creando un campo di energia unificato, sempre più grande, sempre più intenso; sempre più capace di navigare come un'onda, non solo nel tempo e nello spazio ma anche al di là del tempo e dello spazio di questo universo.
Così come il mio Io non è un Dio per le mie cellule, così l'Io cosmico non è un Dio per il mio Io. Né l'Io cosmico, per esistere, ha bisogno di un Dio da cui dipendere.
L'energia è eterna; la materia è eterna; la vita è eterna; e queste tre cose insieme sono all'origine di tutte le cose esistenti e di tutte quelle che esisteranno. L'energia, la materia e la vita non hanno alcun bisogno di un Dio per esistere e per continuare a trasformarsi, per l'eternità. Così come un fiocco di neve contiene dentro di sé la struttura geometrica nella quale si cristallizzerà, una struttura sempre diversa per ogni fiocco di neve che esisterà, così dentro l'energia vitale sono contenute tutte le infinite strutture che sono necessarie per dare vita a infiniti esseri viventi.
C'è solo un punto fondamentale da chiarire: la vita è eterna ma non è immortale. Essa si dispiega con forme e con modalità che sempre sono soggette alla mutazione e alla morte. Ogni forma di vita, e soprattutto ogni forma di vita biologica, è sempre sottoposta al ciclo della morte rinascita per poter continuare ad esistere.
Io credo, però, che la vita non si accontenti di esistere solo attraverso forme che sono ferreamente sottoposte al ciclo della morte rinascita o alla continua alterazione e mutazione. La vita aspira, con tutte le sue forze, a poter creare una forma di vita che da mortale si trasformi in immortale, una volta per tutte. Una vita che sempre è e sempre diviene ma senza più passare per il dolore e per la morte.
Sinora questa trasformazione è stata resa possibile solo dall'agire degli artisti che hanno saputo creare opere d'arte che sono diventate immortali. Gli artisti sono coloro che sanno infondere nelle loro opere una vita che non è più soggetta alla morte. Le opere d'arte sono il frutto del loro dolore e del loro travaglio ma esse non soffrono più e restano vive per sempre.
E' vero, però, che con le opere d'arte il problema della immortalità della vita non è del tutto risolto, perché, se il loro supporto materiale viene distrutto e se scompare dalla terra la vita umana, le opere d'arte cesseranno purtroppo di avere una vita immortale.
Ciò mi fa pensare che l'arte è solo all'inizio del suo cammino. Io credo che l'arte debba compiere un salto evolutivo e cambiare campo di azione. La vita di ogni uomo e la vita stessa dell'universo devono diventare il campo di azione dell'arte.
Se gli uomini diventano artisti della loro vita e della vita dell'universo, allora sarà possibile creare una forma di vita immortale che non dipenda più, necessariamente, da un supporto materiale che può andar distrutto. Se una stella si distrugge, la luce che essa emette e le radiazioni che essa crea, non si distruggono contemporaneamente con la stella; esse possono ancora viaggiare nello spazio ed essere captati da altri corpi celesti e da altri esseri viventi e fondersi con le loro esistenze.
Questa è solo una possibile analogia con la quale voglio esprimere il mio pensiero che possa esistere una forma d'arte immortale che non debba dipendere per sempre dal suo iniziale supporto. Un'altra analogia può essere questa: di tutte le arti che esistono, la danza, pur usando essenzialmente il corpo, è la più incorporea delle arti. Le altre arti lasciano sempre una traccia incisa su un supporto; la danza, invece, lascia una traccia solo nell'animo dei viventi.
Se mi interrogo sul perché di questo universo, penso che esso esista, e che gli uomini esistano, perché diventi possibile che l'arte esista e che gli artisti esistano e che essi si evolvano e siano capaci di creare una bellezza immortale che dia alla Vita la gioia di esistere senza più essere soggetta, almeno in un caso, al ciclo della morte rinascita.
Allora veramente la vita ha trionfato sulla morte e potrà esistere solo nella gioia e non più nel dolore e il dolore precedente avrà avuto un senso che la ragione umana può finalmente comprendere.
Allora la vita sarà non solamente eterna, eternamente scorrevole nel tempo, ma sarà anche immortale nel tempo e immortale nell'eternità.
Immortale ed eterno, sono i due attributi che vengono attribuiti al Dio vivente. Ma questo Dio, dato come unico e come già esistente dagli autori della Bibbia, a mio modesto parere, è solo in parte esistente e in parte deve ancora venire all'esistenza, e siamo noi che dobbiamo contribuire a crearlo, non in versione unica ma in infinite forme diverse, così come diversa è un'opera d'arte da tutte le altre. In questa chiave di lettura del mondo, il cristianesimo è una pallida intuizione di quello che deve avvenire e non il racconto di quello che già è avvenuto.
Ogni fiocco di neve contiene almeno 50 cristalli raggruppati insieme e la forma di ognuno di essi è sempre diversa dalla forma di tutti gli altri.
Prima che il fiocco di neve si condensi, le forme dei cristalli esistono come potenzialità ma non esistono di fatto. In un modo siamo costretti a dire che non esistono ancora, prima della condensazione, e in un altro modo siamo costretti ad ammettere che sono venute all'esistenza e che non sono venute dal nulla ma che già in qualche modo esistevano.
Quello che vale per i cristalli vale per tutti gli esseri esistenti, dal più semplice al più complesso, dal più piccolo al più grande, Dio incluso.
Se Dio è infinita bellezza, come dice Platone, questa bellezza in parte esiste già e in parte non esiste ancora. Gli Ulissidi, i creatori della bellezza seconda, sono tra quelli che possono contribuire a far esistere quella bellezza divina che sino ad oggi esiste solo come potenzialità.
E poiché una infinita bellezza ha bisogno di infinite forme per realizzarsi e non di una sola, c'è posto non per un solo Dio, unico e assoluto, ma per una totalità divina che è fusione di infiniti esseri viventi così come la totalità del mio Io e del mio corpo è il frutto della fusione armonica di miliardi di cellule viventi. Io e le mie cellule siamo mortali, ma noi che siamo mortali possiamo creare una bellezza immortale che esista per sempre e vada a fondersi con la bellezza immortale creata da altri.
Come si crea una lingua vivente così si crea un Dio vivente in una continua causalità lineare, circolare e ascensionale.
Per finire, se qualcuno mi dimostrasse che tutti i miei pensieri qui descritti sono errati e pieni di contraddizioni così come pieno di contraddizioni è il Dio dei filosofi e dei teologi, lasciatemi almeno dire che io preferisco credere in un Dio artista, il cui progetto centrale della sua vita non sia il peccato dell'uomo ma la creazione della bellezza, quella bellezza seconda che non muore mai al contrario della bellezza prima che sempre è soggetta alla morte, e in un Dio che associa l'uomo a questo suo progetto creativo, perché entrambi siano artisti e insieme possano realizzare quello che all'uno senza l'altro non è possibile realizzare.
* Questo testo è stato scritto per rispondere alla richiesta che mi è stata fatta dai partecipanti al V Laboratorio corale di Antropologia Esistenziale, tenutosi a Marino, dal 1° al 3 novembre 1996.
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